venerdì 6 ottobre 2017

Discutendo

Astarian-2

Fra qualche settimana, le edizioni "Entremonde" pubblicheranno un nuovo libro di Bruno Astarian, "L'abolition de la valeur" [ si tratta dell'edizione riveduta e corretta del testo pubblicato a puntate sul blog http://www.hicsalta-communisation.com/ , un'occasione, questa, per una breve discussione con l'autore. Lungi dall'essere una "questione di marxologia" o di specialisti, la questione del valore riguarda una scommessa che ha come posta sia la comprensione della società capitalista che la rivoluzione comunista.
(DDT21- Dubitare di tutto)

DDT21: Detto con parole semplici, che cos'è il valore?

ASTARIAN: Schematicamente, il valore è innanzitutto una forma, la forma sociale dei prodotti del lavoro nella società di mercato. Questa forma è ciò che permette che i prodotti possano essere scambiati fra di loro. Il valore, è la forma della scambiabilità. Cos'è che fa sì che le merci siano scambiabili? Marx pone questa domanda nel primo capitolo del Capitale, e la sua risposta è che tutte le merci contengono un dispendio di forza lavoro umana. Si tratta piuttosto di un contenuto. Mi sembra che si più giusto dire che nella società capitalista, i prodotti hanno una forma definita da delle pratiche lavorative le quali non sono semplicemente un dispendio fisiologico di forza umana, ma sono delle condizioni concrete che vengono imposte alla produzione (a partire dal fatto che essa è strutturata in produttori privati indipendenti gli uni dagli altri). Se Marx insiste soprattutto sul valore come contenuto, ciò è dovuto al fatto che nella sua definizione di valore egli trascura la  categoria del valore d'uso. «Un tavolo è un tavolo», ha detto. Non proprio. Un tavolo merce non è un tavolo in generale, e non è neppure un tavolo nel comunismo.

DDT21: Quali sono le linee principali del tuo libro?

ASTARIAN: Si tratta innanzitutto di una lettura critica di Marx, riguardo l'abolizione del valore, soprattutto a partire dalla sua "Critica del programma di Gotha". Poi passo ad analizzare il primo capitolo del Capitale, generalmente considerato come la base della sua teoria del valore. Quindi propongo il mio punto di vista rispetto a tale questione. In questo passaggio, mi lascio andare alla critica di un recente teorico del valore, Moishe Postone. Infine, parlo delle relazioni del proletariato con il valore: sia nei momenti normali di scambio di lavoro salariato contro capitale, sia nei momenti rivoluzionari.

DDT21: Ad ascoltare il tuo riassunto, si direbbe che potrebbe sembrare una questione di specialisti, o no?

ASTARIAN: La teoria della comunizzazione ha dato luogo a degli sviluppi teorici assai complessi, piuttosto astratti, sia da parte mia che da parte di altri, che sono rimasti ai margini della teoria del valore, considerando implicitamente soddisfacente il punto di vista di Marx. Ma questo punto di vista è determinato dalle condizioni della sua epoca. Il movimento operaio del tempo portava nella teoria marxiana [*1] dei problemi che non sono più direttamente i nostri, in quanto le modalità del confronto proletariato/capitale sono cambiate. Nel libro, penso di aver mostrato come la visione marxiana del valore sia profondamente impregnata dalle condizioni "programmatiche" dell'epoca di Marx: in questo caso, una proiezione del comunismo inteso come società dei lavoratori associati, con la pianificazione, ecc.. Fra i comunizzatori, nessuno si era preoccupato di stanare quest'aspetto all'interno della problematica marxiana del valore, che, per questo, sembrava essere senza tempo. Quindi "specialista" se vogliamo, ma non ho affrontato la questione da marxologo, cioè a partire dalle mie ricerche sul comunismo: come possiamo definire la nostra epoca? La mia riflessione è stata particolarmente criticata a causa della critica del concetto di valore d'uso. E nel suo complesso, il cambiamento di punto di vista che ho messo in atto rispetto alla teoria del valore rappresenta una semplificazione rispetto a Marx, e dovrebbe allontanarmi dagli specialisti marxologhi.

DDT21: Ti trovi perciò in disaccordo con quello che Marx ha scritto sulla questione?

ASTARIAN: Il punto principale che non mancherà di scioccare, è che rifiuto il concetto di lavoro astratto, concetto a mio avviso metafisico, ma che ha la sua ragion d'essere nella problematica marxiana e marxista. Quando Marx dice che tutte le merci sono comparabili fra di loro dal momento che contengono la medesima sostanza - che è il risultato di un'attività, di un dispendio di energia umana senza qualità - a volte chiama questo dispendio «lavoro astratto», del quale fa immediatamente una sostanza che verrà accolta dentro la merce. Infatti, vuol dire lavoro in generale (quando si fa astrazione di ogni sua qualità particolare, di idraulico, di fabbro, ecc.). Marx stesso non usa quasi mai, se non in maniera esitante, il termine "astratto": a volte lo usa, a volte no. Per lui non è importante. È solamente dopo che ci sono stati dei teorici che hanno infilzato questo concetto con uno spillo e hanno riempito intere biblioteche per poter sapere che cosa sia il lavoro astratto. Secondo questo punto di vista, il lavoro in generale si cristallizza nella merce e diviene lavoro astratto: nella società di mercato, l'attività produttiva include il lavoro astratto, altrimenti detto prodotto del valore. Parlare di lavoro astratto, significa dire che c'è un dispendio generale di energia umana. Esattamente quale? Gli autori divergono, ma la linea generale è che il lavoro astratto risulterebbe da un dispendio di energia umana. Per me, si tratta di una concezione filosofica della creazione del valore.

DDT21: Perché i marxiani e i marxisti si sono inventati il concetto di lavoro astratto?

ASTARIAN: Perché, nella loro visione di comunismo, il lavoro industriale è identico a quello della società capitalista. Questo è assai chiaro nella "Critica del Programma di Gotha" e nei testi dei Comunisti dei Consigli del 1930 [*2]. In questa società futura, gli operai svolgono praticamente il medesimo lavoro che svolgevano prima della rivoluzione, perciò ci si può chiedere perché questo lavoro, che creava del valore prima, dopo non ne crei più. La risposta che viene data è semplice: prima, c'era il sistema di mercato, con dei produttori privati indipendenti, mentre ora abbiamo il piano e la cooperazione fra i lavoratori. Lo stesso lavoro, a livello di laboratorio, è rimasto lo stesso. Ma grazie al cambiamento delle condizioni sociale, questo lavoro che era - oltre ad essere concreto - del lavoro astratto ora non lo è più, poiché i lavoratori sono associati e controllano la produzione. Per me, si tratta di un linguaggio magico, di metafisica, che non sta in piedi.

DDT21: Marx si sbagliava?

ASTARIAN: Le persone non si sbagliano: dicono ciò che l'epoca e quel che era il loro punto di vista della società permetteva loro di dire. Marx parlava per la sua epoca. Parlava di comunismo a partire da ciò che vedeva delle lotte sociali del suo tempo. Vedeva delle lotte per le cooperative, e vedeva la speranza negli operai che i lavoratori, soprattutto qualificati, che conoscevano il loro mestiere, sapendo come gestire la loro produzione, sapessero anche gestire la società e si mettessero d'accordo fra di loro per stabilire un piano concertato.

DDT21: E oggi, cosa ti permette di dire quel che dici?

ASTARIAN: Il fatto che dopo alcuni decenni, dopo le lotte degli anni 1960-1970, si sia potuto cominciare a considerare il comunismo senza il lavoro - cosa che non vuol dire senza produzione. La grande differenza consiste in questo. Ed è per questo che - anche se rimane indeterminato, anche se non è soddisfacente per i sostenitori di un marxismo scientifico - siamo costretti a dire che il comunismo non sarà un'economia. Il comunismo non è un modo di produzione, come si dice a partire dagli anni 1970. A partire da allora, volendo una società liberata non solo dallo scambio, ma anche dall'economia e dal lavoro in generale, ritorniamo a delle questioni teoriche come quelle di cui si sta discutendo in questo momento.

DDT21: Quindi, è questo ciò che è in gioco rispetto alla questione teorica del valore: comprendere cosa in pratica sarà il comunismo e la rivoluzione?

ASTARIAN: Sì, la sfida è quella di aggiornare la teoria del valore e, a partire da essa, cercare di andare un po' avanti sulla strada di che cosa sarà una produzione liberata dall'economia. È una questione che attraversa tutta la teoria comunista dalle origini ai nostri giorni. Si è sempre cercato di comprendere il rapporto fra la contraddizione fondamentale della società attuale (fra lavoro necessario e plus-lavoro) e ciò che potrebbe essere una società che se ne sia liberata. La sfida della mia versione della teoria del valore, è che, avendo definito il valore per mezzo di due criteri che sono concreti e non astratti, vale a dire: la ricerca della produttività e la ricerca della normalizzazione, in seguito ho potuto dire che questo implicherebbe un sistema produttivo che si è sbarazzato del valore, vale a dire che si è sbarazzato di questi due criteri. Il che assume un significato concreto.
In primo luogo, negazione della produttività vuol dire che il tempo non è più il criterio della produzione. Nel modo di produzione capitalista, il produttore, che sia indipendente o operaio, non partecipa alla società del capitale se non nella misura in cui egli rispetta le norme della produttività, le norme del tempo, vale a dire il numero di ore che lavora e la quantità di produzione per unità di tempo. Nessuno sfugge a questo. Se, per mezzo di un colpo di bacchetta magica, ci si sbarazzasse di questa costrizione, cambierebbe tutto, non si subirebbe più la costrizione del tempo. Che tu lavori o, forse, non lavori, socializzi con i tuoi co-produttori, produci un po', o produci molto, si cambia progetto, ogni cosa evolve. Senza l'imperativo del tempo ci possiamo fermare... Ovviamente vengo tacciato di mancanza di realismo: «Tutto questo è molto bello, ma come si mangerà?!» Mi hanno perfino fatto dire che ero disposto a che la gente morisse di fame, perché avevo scritto da qualche parte che se non c'è farina non ci sarà pane: anche se questo è vero, senza pane per un po' si mangeranno dei fagioli, ma non si morirà di fame. I pianificatori ce l'hanno con me... perché non me ne preoccupo troppo.
Dopo va soppressa la normalizzazione. È un po' più complicato, ma necessario. È nella logica del valore che i prodotti siano standardizzati: non solo utili, ma di un'utilità uniformata; ciò fa parte delle condizioni della produzione capitalista. Essendo i produttori privati e indipendenti, lavorano per un mercato che è esterno rispetto a loro, e sono obbligati a standardizzare i loro prodotti per essere sicuri che corrispondano ai bisogni cui sono rivolti, malgrado le variazioni individuali degli stessi bisogni. Per esempio, la merce "alloggio" è molto standardizzata, e non solo per delle ragioni di economie di scala. Se si sopprime la normalizzazione, ottieni che ciascuna produzione sia particolare rispetto al bisogno cui è rivolta. Se ha bisogno di un alloggio, farai o ti verrà fatto un alloggio come questo o come quello, con una camera da letto o senza, con un bagno o meno, con dei muri di pietra o no, un luogo che ti sia proprio.
Attualmente, se cerchi una casa, una vettura, del cibo, puoi scegliere fra standard diversi. Puoi avere un "padiglione Phénix", una vecchia casa, una casa popolare, hai una scelta, ma questa scelta non corrisponde affatto alla tua persona, al tuo particolare bisogno. Qui, non sto facendo l'apologia del bisogno dell'individuo capriccioso che vorrebbe subito la sua insalata di fragole. Ma cerco di immaginare un bisogno che non sia più, com'è oggi, una mancanza. Attualmente, se ti manca l'alloggio o il cibo, tu vai dove si può prendere ciò che c'è, che più o meno ti conviene. Nel comunismo diremo: ci serve una casa, e un gruppo di persone si metterà d'accordo per intraprendere una costruzione in cui desidera vivere, e farà evolvere un tale progetto, e che forse richiederà molto tempo, poi arriveranno altre persone, diranno che bisogna fare altrimenti, si perderà del tempo, ma non ci importa di perdere tempo, la costruzione si svilupperà così. È questa le negazione della normalizzazione. Non puoi pianificare, fare dei calcoli, sapere e provare che funzionerà, perché calcolare tutto in anticipo è proprio quello di cui ci si vuole sbarazzare. Non ho paura di spingermi sul terreno dell'utopia: dobbiamo pensare in tal senso. Va sottolineato quanto meno, per evitare qualsiasi confusione, che non si tratta di produrre ogni giorno in maniera diversa. Non credo affatto nella possibilità di una separazione.

DDT21: Sì, quello di cui stai parlando è lo svolgersi di una rivoluzione, non di quello che si può fare ora in un laboratorio autogestito o in una comunità alternativa... Eppure, le persone che non ti conoscono non penseranno che si tratta di un'utopia, di una visione di anarchici.

ASTARIAN: Non solo di anarchici, d'altronde. Preparando un articolo sulle bidonville [*3], ho scoperto un architetto affascinato dal modo in cui si costruiscono le bidonville in America Latina. Lo trovo magnifico, rivoluzionario, la vedo come una soluzione: anziché costruire degli edifici sul tipo delle case popolari per i senzatetto, bisogna dare loro solo un po' di denaro in modo che si possano comprare dei materiali che poi utilizzano come vogliono. Infatti, non era affatto una rivoluzione, ma solo delle bidonville un po' speciali spesso edificate con la benedizione delle autorità locali. Ma il nostro architetto ha descritto il modo in cui delle persone in miseria, con pochissimi mezzi, hanno costruito una stanza, aspettando, e poi, appena potevano ne hanno aggiunta un'altra. La povertà aveva proibito la produttività. La casa evolveva in funzione dei bisogni, e alla fine si sono trovati a casa loro. Secondo questo architetto, quando vivevano nelle case popolari, non si preoccupavano, e non c'era alcuna manutenzione, e così in pochi anni gli alloggi si sono completamente degradati. Per me, queste condizioni sociali estreme generano un obbligo all'inventiva che ci parla di qualcosa che potrebbe essere una rivoluzione comunista, però qualcosa di molto limitato.

DDT21: Su questo argomento, ritieni di esser parte di un dibattito in corso, o addirittura di suscitarlo?

ASTARIAN: Non proprio. Alcuni, di tanto in tanto, mi insultano un po', e alcuni altri sono interessati a quello che spiego. Ma non direi che sto partecipando ad un dibattito.

DDT21: Perché quest'assenza di discussione?

ASTARIAN: Per diverse ragioni. In primo luogo, il pubblico della teoria comunista è un piccolo ambito, fatto essenzialmente di non-teorici, che leggono, ma che soprattutto si adattano alle lotte del momento cercando di parteciparvi secondo degli elementi teorici presi da Marx o da altri teorici, ivi compresi degli anarchici. Quello che cercano nella teoria è un manuale. Ma quello che faccio non fornisce un manuale, è solo un metodo di analisi che cerca di portare ad una proiezione del comunismo, ma senza componenti strategici o organizzativi. Quindi, in pratica, rispetto a quest'ambito, nelle condizioni attuali non servo loro a niente. Non ho altra utilità che non sia quella puramente teorica.

DDT21: Ciò è vero per quelli che leggono teoria senza farla. Ma fra quelli che la fanno, perché saresti poco interessante per ciò che hai appena esposto?

ASTARIAN: Rispondo con una domanda: chi è che sta ancora scrivendo sui temi che persone come noi hanno sviluppato durante gli anni 1970? Potremmo citare alcuni giovani, pochi di numero. Ci sono lettori, ma sono assai pochi coloro che desiderano affrontare l'argomento per portarlo avanti.

DDT21: Il gruppo "Angry Workers" ha elaborato uno schema di transizione verso un'economia comunista in Inghilterra, con dettagliate previsioni, circa chi lavorerà, quante ore, alcuni lavoreranno tre ore, altri due, altri ancora quattro ore... tutto un programma che pretende di essere concreto [*4]. E probabilmente un testo di questo genere viene più letto di quanto lo siano i tuoi scritti. Perché?

ASTARIAN: Perché questi lettori, che sono degli attivisti - non dico dei politici ma degli attivisti - che vogliono intervenire nelle lotte quotidiane, vogliono anche poter dire: «Ecco perché si lotta». Ora, queste lotte sono economiche. A dei salariati in sciopero per un aumento del salario, non si può dire «Aboliamo il lavoro!» oppure «Distruggiamo lo Stato». Allora cosa dicono questi attivisti? Dicono che in una società normalmente costituita, ci sarebbe giustizia, e quindi lavorerebbero anche i ricchi, e non avremmo più sprechi, si vivrebbe meglio, e così via. In mancanza di lotte che mettono in discussione il lavoro salariato, sono assai poche le persone interessate ancora ai temi che affronto.

DDT21: Quindi oggi, se c'è così poco dibattito su tali questioni, ciò è perché mancano delle condizioni sociali favorevoli?

ASTARIAN: Sì, è quello che penso.

DDT21: Ma come mai a quarant'anni dalla svolta di cui parlavi all'inizio, spinta in particolare dalla critica del lavoro. Come mai le condizioni che hanno permesso questa avanzate e che hanno quarant'anni oggi non esistono più?

ASTARIAN: Se n'è parlato alla fine di una trasmissione su Radio Libertaire alla quale ho partecipato [*5]. Lo si spiega con il fatto che l'anti-lavoro attuale è molto più limitato. Durante la trasmissione, sono tornato sull'anti-lavoro nei diversi periodi, ed in particolare negli anni 1970. Allora nelle fabbriche avvenivano degli eventi difficilmente immaginabili oggi. Un grado di indisciplina oggi impensabile. Forse dovrei moderare il mio punto di vista del 2010 circa il ritorno dell'anti-lavoro [*6]. Approfondendo, le manifestazioni attuali di ciò che nel 2010 chiamavo anti-lavoro non sono mai avvenute nelle officine, come accadeva, soprattutto in Italia, negli anni 1970. Nel 2010, citavo il caso degli operai del Bangladesh che distruggevano delle fabbriche, e che lo fanno dall'esterno, non dall'interno: quando sono all'interno, lavorano. È solo quando fanno delle rivendicazioni, quando passano a trovarsi fuori dalla fabbrica, che l'attaccano, la saccheggiano e la bruciano. Si rimane in questo paradosso secondo cui gli operai che hanno bisogno di lavorare distruggono dei mezzi di lavoro. La questione meriterebbe di essere discussa in maniera approfondita. In ogni caso, un ritorno dell'anti-lavoro alla maniera italiana o francese non lo si vede, in primo luogo perché c'è troppa disoccupazione, ed è una disoccupazione divenuta funzionale per i padroni. Le condizioni di lavoro in Amazon o nelle scatole di quel tipo fa sì che i lavoratori salariati si distruggano, e che l'impresa non se ne preoccupi: se non sono contenti che se ne vadano, il padrone ne troverà sempre degli altri da ingaggiare. Come si svolgerà una rivolta nei laboratori o nei magazzini di Amazon? Non c'è ancora una risposta. Tutto ciò che si può dire è che il movimento sociale rimane piuttosto muto su ciò che sto evocando. Per cui non posso escludere che le questioni che pongo siano le questioni di un'altra epoca. Affronto questo tema in un testo sulla teoria [*7]: si è sempre in ritardo di un passo, ci sono sempre delle grandi difficoltà a proiettare quella che sarà la prossima esplosione sociale. Seguendo una certa logica, si può immaginare una grande futura ondata di distruzione dei computer, e così gli strumenti di lavoro si fermeranno da soli. Non c'è bisogno di spaccare le macchine, basta spegnere i computer che le comandano. Non possiamo dire altro. Ma per il momento, le persone sono talmente schiacciate dal lavoro, dalla precarietà, dalla disoccupazione, che è difficile vedere come si solleveranno, ma forse può accadere, attraverso una scintilla che neppure immaginiamo.

DDT21: Quando dici «questioni di un'altra epoca», "altro" può essere compreso in due sensi. Sia nel senso di un altro tempo, trascorso, che non esiste più, e così la teoria resta intrappolata nel passato. Sia "altro" nel senso di un altro, nell'avvenire, radicalmente nuovo, un'epoca che metterebbe fine al lavoro, alla produttività... Forse arrivi troppo presto.

ASTARIAN: Non lo so, ma come ho spiegato all'inizio del testo sul valore, fra il mondo attuale ed un mondo senza produttività e senza normalizzazione, c'è una rivoluzione sulla quale per ora non sappiamo cosa dire. Si possono proporre delle idee generali, ma non abbiamo i precisi parametri di un tale momento, perché non ci possiamo appoggiare sulle lotte attuali per dire «Sarà in questo modo, più in grande o più in generale, oppure in un altro paese». Se si guarda alle lotte importanti di quest'ultimi anni, come ad esempio Oaxaca, che è stata messa su un piedistallo, essa non ha alcun rapporto con una rivoluzione comunista. Lo stesso per quanto attiene alla Primavere arabe: si tratta di movimenti sociali, e non nego affatto che modifichino la storia, ma non sono state l'inizio di una rivoluzione comunista che poi sarebbe fallita, o abortita, questi sono dei movimenti che si inscrivono nel corso quotidiano della lotta di classe. Queste non sono tanto delle insurrezioni quanto delle manifestazioni, dei sit-in... Non c'è nessun attacco ai mezzi di produzione.

DDT21: Ci stiamo avvicinando alla fine dell'intervista: c'è una domanda che vorresti ti fosse posta?

ASTARIAN: Preferisco tornare alla relazione fra il valore ed il valore. Quel che importa, da un lato, nel criticare in parte Marx,  è ridefinire il valore, e dall'altra parte valutare poi qual è la posta di una tale critica. Comprendere il ruolo della produttività e della normalizzazione, e la necessità di eliminarle, significa innanzitutto capire che la produzione del valore non è un'attività astratta, bensì concreta. La produttività e la normalizzazione, presuppongono che il produttore agisca sul proprio lavoro: la sua attività non finisce mai. Tu fabbrichi una sedia, e non appena questa sedia è fatta, ti chiedi se hai impiegato il tempo "necessario" o se oppure ci hai messo di più, se questa sedia ha richiesto il minimo del tempo o se ne ha richiesto di più, e ti dici: «Avrei potuto - avrei dovuto - procedere diversamente, utilizzare un macchinario migliore, risparmiare tempo», e sei sempre obbligato ad agire e a pensare in questo modo. Non smetti mai di farlo, e questo è molto concreto. È per tale motivo che il capitalismo continua a modificare completamente in maniera brutale le condizioni della produzione, ed è per questo che i lavoratori non sono mai tranquilli riguardo alle loro competenze tecniche, dal momento che c'è sempre qualcuno che li spinge a migliorare il rendimento.
Lo stesso avviene per quel che riguarda la normalizzazione. Se vuoi produrre delle sedie, devi sapere chi è che le vuole, e questo non dipende da una buona ricerca di mercato. I migliori studi di mercato sono spesso erronei. Il problema proviene dal fatto che sei un produttore privato indipendente. L'acquirente di sedie non si rivolge a te dicendo che ha bisogno di una sedia alta 52 o 54 centimetri. Spetta a te, il fabbricante, fargli sapere che l'altezza media è di 52,5 o di 55 centimetri, poiché l'industria capitalista ha deciso così, e l'acquirente dovrà sedersi all'altezza di 52,5 o di 55 centimetri. Questa è la norma. Nel comunismo, si chiederà a colui che desidera una sedia: «A che altezza ti siedi tu?» Si trascorreranno ora a discutere, a decidere per quale uso: per bere il tè alla menta, per giocare a scacchi... Per alcune attività, ci può piacere star seduti in alto, mentre per altre ci può piacere stare seduti più in basso. Faccio degli esempi, ed è ovvio che sia abbastanza facile farli diventare ridicoli, ma l'importante è dire che la produzione non sarà standardizzata, ma verrà adattata, personalizzata. Una cosa che oggi è difficile immaginare perché ciò sarebbe anti-produttivo.

DDT21: E quali sono gli altri che parlano di comunismo come hai appena fatto tu? In maniera concreta, con le fragole, le sedie...

ASTARIAN: Nessuno, che io sappia. Penso che a tal proposito ci sia una tradizione, penso a "Quattro milioni di giovani lavoratori" [*8], e a certi anarchici. Ma fra gli anarchici la riflessione rimane ancora molto a livello economico: non sono sicuro se questo può essere un buon riferimento.

DDT21: Fra le persone che oggi fanno teoria, sembri piuttosto isolato.

ASTARIAN: Non escludo che ci siano altri che riflettono seguendo la stessa mia direzione, ma è vero che molti lettori restano scioccati. Mi seguono in molte analisi... e poi si fermano lì. Per esempio, il mio libro sulla Cina mi ha valso delle buone critiche, salvo per l'ultimo capitolo, dove ci sono stati dei lettori che ci hanno visto un completo sbandamento e mi hanno rimproverato di parlare di comunizzazione. Eppure in quel libro non entravo nel dettaglio, come ho fatto ora in questo [*9]. Perciò, sì, sono isolato.

DDT21: Cosa ne pensi della teoria della « critica del valore »?

ASTARIAN: Ho dedicato un capitolo del libro a Postone, che ne è una delle figure. Secondo lui, in generale, la società capitalista è sottomessa alla meccanica astratta del valore, che chiama «il dominio astratto», e che fa funzionare l'economia nel modo in cui l'ha descritta Marx a partire dai meccanismi astratti dei concetti. In particolare, questo è il caso della sua spiegazione assai complicata (e difficile da seguire) dell'aumento costante della produttività, che egli osserva - giustamente - nella società. I sostenitori della «critica del valore» pensano che il valore spieghi tutto. Vale a dire che la forma merce e lo scambio spiegherebbero tutta la meccanica sociale del capitalismo. Non colgono il punto essenziale: la lotta di classe. In Postone questo è molto esplicito: egli parla della lotta di classe per dire che essa fa parte della riproduzione del sistema, che è integrata in questa riproduzione e che quindi non può superare questo sistema, in quanto gli operai rivendicano lavoro e lottano per degli aumenti salariali. Quindi, come trovare il punto di rottura nel capitalismo moderno? Non lo trovano questo punto di rottura. Postone getta via il bambino insieme all'acqua sporca: non c'è più soggetto rivoluzionario, il valore riproduce la società, il dominio astratto sottomette tutto. E riguardo a come fare ad uscire dal sistema, alla fine del suo libro [*10], dedica qualche pagina alla soluzione. Per sbarazzarsi dal capitalismo, trova delle reazioni etiche in persone indeterminate, in critici marginali, nel bisogno di sentirsi liberi, in breve delle cose fragili e irrilevanti, considerando anche dei movimenti di consumatori che pur arrivando a criticare il sistema, non sanno assolutamente come si dovrebbe superare. È questo il problema principale di tale visione, non sa come fare ad arrivare al superamento della contraddizione.
Riducendo la lotta di classe ad una semplice funzionalità del sistema, la teoria della «critica del valore» non può essere una teoria della rivoluzione. D'altra parte, da sé sola, non lo è nemmeno la teoria del valore che ho descritto in questo libro. La teoria del valore è solo una parte della teoria rivoluzionaria. Per conseguire il livello globale di una teoria della rivoluzione, bisogna comprendere che cosa avviene nella società attuale, e quindi svolgere la critica dell'economia e della società in generale, farsene un'idea, una proiezione di che cos'è il superamento di questa contraddizione, e fra le due cose comprendere come fare a passare dall'una all'altra, come la contraddizione generi il suo superamento a partire dalla sua propria meccanica. Questi tre aspetti sono indispensabili, ma non sono sempre presenti! Nelle vecchie forme della teoria comunista, era relativamente facile: la contraddizione, era la miseria delle grandi masse di fronte alle enormi capacità produttive del capitale; la soluzione, era la società dei lavoratori associati che pianificavano la produzione e che venivano pagati correttamente; e, fra le due cose, c'era la presa del potere dello Stato da parte del partito che si era formato nel corso delle lotte contro la miseria. Questa estrapolazione funzionava grazie ad un processo politico di presa del potere. Era quello lo schema, non sto dicendo che è stato la realtà storica della rivoluzione russa, per esempio. Ora che tale concezione è stata resa obsoleta dalle lotte degli anni 1960-1970, si è obbligati a cercare qualcosa di più astratto. E questo é un vero problema.

DDT21: Cosa che ci riporta al debole eco, finora in ogni caso, di una riflessione come quella che hai fatto. Non tutto può essere spiegato a partire da delle questioni personali o dalle rivalità di gruppo. La ragione profonda, è quella che hai detto tu: le lotte sociali di oggi non spingono a porre la questione del comunismo, mentre quelle degli anni 1970 tendevano a qualcosa del genere.

ASTARIAN: Sì, è questo il problema delle giovani generazioni.

DDT21: Il che ci riporta alla situazione globale della lotta di classe, la quale favorisce o meno la critica del lavoro.

ASTARIAN: È un tema sul quale bisogna tornare, completando e migliorano quello che si è scritto a proposito dell'anti-lavoro, anche alla luce di alcune inchieste recenti veramente impressionanti sulle condizioni dei lavoratori.

DDT21: Sono molto colpito da una cosa. Leggendo il tuo studio sul valore, l'analisi è complicata, difficile, ma a partire da lì arrivi delle descrizioni del comunismo che sono chiari, ma che sono anche piacevoli, e che dovrebbe favorire la loro ricezione da parte di un pubblico quanto meno più ampio.

ASTARIAN: Le persone vengono scoraggiate da tutto ciò rispetto a cui devono prima leggere, e che in effetti è complicato.

DDT21: In ogni modo, chi non comprende l'interesse per le questioni che poni non verrà mai convinto dagli esempi concreti di cui ti servi: li trasformerà in derisione. Non si parla, e non si scrive per tutti.

ASTARIAN: Come affermo nel testo sulla teoria, a volte è necessario accettare di non essere realisti. Senza neppure dimenticare che il teorico parla anche di sé stesso.

L'Abolition de la valeur

NOTE:

[*1] - "Marxiano" designa ciò che Marx stesso ha scritto; "marxista" comprende tutto quello che si ispira a Marx, da vicino o da lontano, e che si richiama a lui, a ragione o a torto.

[*2] - Groupe des communistes internationaux (GIK), "Fondements de la production et de la distribution communiste", 1930, préface de Paul Mattick. [ https://bataillesocialiste.files.wordpress.com/2010/06/gic_1930.pdf ]

[*3] - Les bidonvilles forment-ils une planète à part? (2010).
[ http://www.hicsalta-communisation.com/textes/les-bidonvilles-forment-ils-une-planete-a-part ]

[*4] - https://angryworkersworld.wordpress.com/2016/08/29/insurrection-and-production/

[*5] -  « Une histoire des résistances au travail et de l’anti-travail », Sortir du capitalisme, Radio Libertaire, 2016
[ http://sortirducapitalisme.fr/183-une-histoire-des-resistances-au-travail-et-de-l-anti-travail-bruno-astarian ]

[*6] - « Activité de crise et communisation », 2010. [ http://www.hicsalta-communisation.com/textes/activite-de-crise-et-communisation-5#II21 ]

[*7] - Solitude de la théorie communiste », 2016. [ http://www.hicsalta-communisation.com/textes/solitude-de-la-theorie-communiste ]

[*8] - Un monde sans argent : le communisme (1975-76). [ https://libcom.org/files/Un_monde_sans_argent.pdf ]

[*9] - Luttes de classes dans la Chine des réformes (1978-2009), Acratie, 2009.

[*10] - Moishe Postone, Temps, travail et domination sociale, Mille et une nuits, 2009.

( Pubblicato il 5 settembre 2017 su "DDT21 Douter de tout… " )

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